Mostra Franco Angeli Gli anni ’80

E’ stata inaugurata venerdì 8 dicembre presso la Galleria FaroArte la mostra: Franco Angeli gli anni ’80 a cura di Franco Bertaccini.

Sarà possibile visitare la mostra ogni sabato e domenica dalle ore 16.00 alle ore 19.00.

Giuseppe Franco Angeli (Roma 1935- 1988), autodidatta, si accostò all’arte astratto-aterica,sperimentando tecniche e materiali vari in una ricerca tesa a superare l’informale.

Spinto dalle necessità familiari, inizia a lavorare sin da bambino, in una tappezzeria poi in una carrozzeria, apprendendo l’utilizzo dei tessuti, delle sagome e dei ritagli, che riporterà poi nelle sue opere. Non frequenta regolari studi d’arte, ma inizia a dipingere nel 1957, anno in cui parte per il servizio militare a Orvieto,raccontando in seguito: “Quando una persona ha un malessere profondo deve cercare un modo per non essere più sola, deve in definitiva, trovarsi un interesse che l’accompagni per la vita”. Tornato a Roma, entra in contatto con lo scultore Edgardo Mannucci, amico di Alberto Burri, rimanendo profondamente affascinato dall’opera di quest’ultimo, tanto da riprenderne la matericità consunta dei Catrami.
Negli anni Sessanta fa parte della “Scuola di piazza del Popolo” con Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Tano Festa, Renato Mambor, Mario Ceroli, Cesare Tacchi, i quali erano soliti riunirsi al Caffè Rosati – a piazza del Popolo – o presso la Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.

Angeli inaugura la sua prima personale nel gennaio 1960, e nello stesso anno vince il Premio d’incoraggiamento ad artisti del Ministero della Pubblica Istruzione. Seguono poi diverse mostre in cui iniziano a comparire le simbologie del potere, la violenza degli accadimenti reali che per lui assumono un’importanza centrale e che non smette di fissare nelle proprie opere.

Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia curata da Achille Bonito Oliva, e negli anni Ottanta si dedica maggiormente alla figurazione: capitelli, piazze deserte e marionette. Iniziano così a comparire nei suoi paesaggi «gli aeroplanini, infantilmente gioiosi, che portano la morte nel Vietnam», che sembrano richiamare i bombardamenti della seconda guerra mondiale: «È infatti in lui evidente, per chi lo conosce e lo frequenta a causa di questa attitudine, la tensione narrativa in cui i ricordi del vissuto personale sono inestricabilmente intrecciati con quelli della storia». Il forte interesse sociale e popolare prosegue poi nella serie di paesaggi esotici con piramidi, obelischi, e gli aerei che diventeranno vere e proprie Esplosioni (1986). Le forme divengono stilizzate e lasciano affiorare guglie, capitelli e piazze deserte come in «un senso grandioso e struggente di scavo durante il quale storia ed esistenza riemergono come perfetti ed inalterati solidi geometrici che irradiano nuovi colori della vita, freschi, fragranti, puri verdi, blu, rossi», ma pure come simboli dove il contorno si fa preciso e netto, mentre le atmosfere rimangono vaghe nella materia cromatica. La “piattezza” serve a far emergere diversi simboli come l’Obelisco: che è un toccare il cielo con un dito, o l’unione fra cielo e terra. La Casa: compatta e senza luci è anch’essa espressione di raccoglimento e protezione dei sogni e dei desideri. L’Aereo: come elemento libero, portatore di vita come di morte.

Insomma, il simbolo si stacca dal fondo e ci fa riflettere. Il  tema della “marionetta”, che compare sempre più spesso dopo il 1984, è una sorta di autoritratto che sembra preludere alla fase finale della sua vita.